Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (Cento 1591 – Bologna 1666)
Diana Cacciatrice
Olio su tela 121,3 cm
Eseguito nel 1658
Provenienza:
Collezione Conte Fabio Carandini, Roma
Collezione Lino Invernizzi, Milano
Asta Finarte, Milano, 13 maggio 1966, lotto 356
Collezione Elio Tantulli, Trani
Asta Christie’s Milano, 26 novembre 2009, lotto 96
Esposizioni:
Guercino 1658: la Diana Cacciatrice della Fondazione Sorgente Group, Pinacoteca Civica di Cento, 4 giugno – 10 luglio 2011
Guercino 1591-1666. Capolavori da Cento e da Roma, Galleria Nazionale d’arte antica, Palazzo Barberini, Roma, 16 dicembre 2011 – 29 aprile 2012
Guercino, National Museum of Western Arts, Tokyo (Giappone), 3 marzo – 31 maggio 2015
La dea Diana, fu la derivazione romana della divinità greca Artemide che venerata come signora dei boschi e delle fonti, proteggeva le bestie selvagge, concedendole solamente ai cacciatori più meritevoli. Figlia di Zeus e Leto, secondo la tradizione greca, era la sorella gemella del dio Apollo. Fu oggetto di un culto estremamente diffuso specie per essere considerata dea della fertilità e protettrice delle partorienti. A questo proposito nacquero numerosi templi a lei dedicati, fra cui quello di Efeso, considerato una delle Sette Meraviglie del mondo antico.
In epoca romana il suo culto subì delle variazioni, in particolare in epoca tarda: una di queste fu l’identificazione di Diana con la divinità lunare Selene divenendo così la personificazione del Cielo, il punto di congiunzione fra la Terra e la Luna. Nella presente composizione Guercino vuole raffigurare proprio questa variante tardo antica del culto della dea, com’è visibile dalla falce di luna che domina sul suo capo, raffigurando l’incontro mitologico fra la de ed il giovane pastore Endimione, come raccontato da Apollonio Rodio, secondo il quale Endimione, re di Elite divenne oggetto dell’amore della dea Selene che una notte lo vide addormentato presso le pendici del monte Latmo, in Asia Minore. Pur di poterlo vedere ogni notte e proteggere il suo bel volto dalla vecchiaia e dalla morte, la dea lo fece cadere in un sonno eterno.
Il Maestro centese, in questa tela coglie l’attimo nel quale la dea, accompagnata da un levriero (il cane è uno degli attributi iconografici fondamentali di Diana, così come lo sono le armi da caccia come lancia, arco e faretra), Diana blocca la sua corsa, e si volta ad osservare il giovane Endimione addormentato.
Dipinta nel periodo della tarda maturità del Guercino, questo tela fu rintracciata come parte di una coppia di quadri commissionata dal conte Fabio Carandini di Roma: in data 15 novembre 1657, come viene specificato nel registro contabile della bottega, dove viene annotato il pagamento di un anticipo di 15 scudi per la commissione di due mezze figure. Il 20 maggio 1658 viene riportato il saldo totale della commissione da parte del Sig. Ridolfi, per:
“..due Meze Figure Cioue Indimione, e Diana che si mandorno a Roma, ali Sig.ri Carandini”.
Un’ulteriore conferma di questa transazione ci viene data anche da Carlo Cesare Malvasia nel su Felsina Pittrice.
Questa preziosa informazione ci consente di collocare la produzione di queste due tele nel 1658. Secondo Luigi Salerno e Denis Mahon, l’altro dipinto facente parte della commissione originaria, raffigurante Endimione addormentato, non è ancora riemerso, ma se ne conosce la composizione attraverso una copia più tarda conservata in un’ala della Galleria degli Uffizi a Firenze.
I lavori del periodo più tardo del Guercino si caratterizzavano per una tecnica diversa rispetto al passato, regolata dal principio dell’armonia, dove l’eguale distribuzione dei pesi e un’impostazione simmetrica all’interno della composizione, avevano preso il posto del dinamismo creato dalle direttrici diagonali e oblique che segnavano fughe in profondità, in contrasto con la superficie piana della tela.
Questo cambio di tono, indirizzato verso una maggior staticità, giustificò inoltre una notevole diminuzione nell’utilizzo di disegni preparatori e studi d’insieme: la scena appariva immediatamente nei suoi tratti più semplici e chiari per cui l’artista rivolgeva la sua attenzione verso i particolari come i panneggi o le singole figure, come il magnifico ritratto del levriero di questa composizione.
L’oramai settantenne Giovanni Francesco Barbieri rinunciò quindi ad un’arte basata sulla velocità inventiva alimentata dalla fantasia, uno stile che caratterizzò la sua produzione fino al quarto decennio del Seicento, per abbracciare, attraverso una ricerca più meditata e un’esecuzione più esperta, il raggiungimento di una perfezione assoluta.
Per l’esecuzione di questo dipinto, il pittore ha probabilmente attinto agli schemi di un suo precedente lavoro, risalente al 1645: un ritratto a mezza figura di Diana/Selene stante, che sorregge una lancia, con accanto il levriero. Purtroppo questa tela, già conservata alla Staatliche Gemäldegalerie di Dresda, è andata perduta durante il bombardamento abbattutosi nella città tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, come ricordato da Luigi Salerno.
Guercino immerge la dea in un etereo paesaggio dai chiari riferimenti alla scuola veneta, la cui profondità è regolata dal tronco d’albero che si erge alle spalle di Diana (nel quale si può notare anche la presenza di un piccolo pentimento dell’artista), con la duplice funzione di dare origine a una sorta di quinta teatrale dentro la quale inquadrare la scena, nonché di suddividere l’opera in due piani spaziali.
Il dipinto, dopo essere rimasto per alcuni secoli nella collezione dei conti Carandini di Roma, passò di mano ad altri privati, anche attraverso a vendite all’incanto. La Fondazione Sorgente Group, dopo averla individuata in una recente asta milanese, è riuscita ad acquisire questo capolavoro di indubbia qualità museale.
Bibliografia:
- Ghelfi (a cura di) e D. Mahon, Il libro dei Conti del Guercino, Modena 1997
- Salerno, I dipinti del Guercino, Roma 1988, pag. 392 (illustrato)
- Stone, Guercino, catalogo completo, Firenze 1991, cat. 314 – pag. 323 (illustrato)
- C. Malvasia, Felsina Pittrice, Vite de’ pittori bolognesi, Bologna 1841 (Ristampa 2004), pag. 339
- Dotti -Messori, I Carandini, la storia e i documenti di una famiglia plurisecolare, Modena 1997

